Il tempo, sostanza eterna, è funzione del movimento. Dal loro incontro nasce il ritmo, che forgiò la specie umana sin dai primordi. E che continua nella sua opera riformatrice, a dispetto dei luoghi comuni che lo vogliono ancorato ad un passato ancestrale. Ma all’ombra delle narrazioni ed illusioni che ne occultano la percezione, quale umanità si sta dischiudendo al nostro presente? “Verso la specie” sembra indagare suoni, forme, gesto e movimento per ricostruire, attraverso la danza, una prospettiva incontaminata sul non detto della Specie. Dai ritmi più semplici delle prime coreografie si assiste ad una evoluzione che disvela, passo dopo passo, non una trama ma istantanee dell’umana condizione.
Non melodie ma rumori
Procedendo nella ricognizione, non melodie ma rumori, come elementi ordinanti di una continua tensione oramai metabolizzata del vivere. Nessuna parola, ma il linguaggio inequivocabile del corpo. Che non è diviso dalla distanza del segno dal suo referente, ma che rivela un’unità costante tra fisicità e spiritualità. Nei cerchi ricorrenti delle coreografie, niente narrazioni ma ritmi. Da cui trapelano sporadici gesti rivelatori.
Un salto nel vuoto dell’anima
Cullata da apparente normalità, da una forse ironica distanza tra sacralità, geometrie e costumi, emerge così il volto della violenza. Solo un attimo di cocente verità, un salto nel vuoto dell’anima espulsa dal coro, prima di ritornare al quotidiano divenire del ritmo. Claudia Castellucci, Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2020 quale “coreografa sobria, seria, minimalista ed esigente, che lavora con sacralità alla sua arte”, con questo lavoro sembra esprimere anche il suo rapporto con la danza. Percepita come sostanza, in senso aristotelico a differenza del teatro che è rappresentazione. La danza quindi, nella sua accezione contemporanea più pura. Non più arte prestata ad una narrazione ma essa stessa espressione di verità.
Isabella Rossi