I linguaggi della danza contemporanea
“Trovo nel club un luogo per tale attività trascendente, che corrisponde del tutto all’associazione spesso usata dei club alle chiese, per quanto oscurata dalla più comune interpretazione del clubbing come mera attività ricreativa. In questa performance, mentre cerchiamo di trasferire l’essenza magica del club nel contesto teatrale/rappresentativo della scatola nera, e confidando nella danza come pratica che compensa il fatto che non potremo mai essere l’altro, tentiamo di divenire Uno”.
Michele Rizzo
In principio sono le luci a bucare il buio della sala, su una sequenza di note in scala che pur ripetendosi all’infinito trasmette già una sensazione di crescendo. Sono presenza e movimento, anticipo del sorgere del movimento danzato e preludio di un continuum tra arte visuale e danza contemporanea celebrato elegantemente in una costellazione di linee e punti a metà strada tra un esagramma del libro I Ching, l’antico Libro dei mutamenti, ed una citazione di lettere del codice Morse. E non c’è dubbio, da sempre comunicare la sacralità dell’energia che permea il cosmo intero è un’arte che richiede talento e originalità. Ecco perchè Higher, rappresentato il 10 novembre scorso al Teatro Morlacchi di Perugia, insieme a Spacewalk e Deposition partedi una trilogia dedicata al corpo e al movimento, è valso a Michele Rizzo, (Lecce, 1984) premi e riconoscimenti internazionali. L’indagine sul gesto e sulle sue stratificazioni fa tappa in un Club, luogo franco della cultura giovanile internazionale.
In una messa a fuoco lenta, rischiarati dal buio, emergono tre danzatori. I loro passi, dapprima accennati si fanno più veloci e precisi incalzati dal crescendo della traccia elettronica. I tre ragazzi danzano come tanti altri loro coetanei che vanno nei club in cerca di comunione e catarsi. Hanno occhi chiusi e accenti propri su passi identici e lo stesso desiderio di staccare per ricongiungersi. Sono migliaia i ragazzi che danzano sulla stessa musica tecno lasciandosi andare ad un’esperienza di sé e dell’altro. Un individuo spesso poco distante nella mappa del dancefloor ma chiuso da confini spesso derivanti da costrutti culturali assimilati. Ma se il pensiero assimilato incatena, le vibrazioni di energia trascendono muri. Ed è ad occhi chiusi sotto una pioggia di luce, a volte intermittente, scaldati dal calore crescente dei corpi che i danzatori si muovono al ritmo della tecno. Fino a raggiungere nel club quel climax che è fusione di danza, corpi e musica Un’esperienza estatica intima e condivisa.
Isabella Rossi