PANDEMIA 2020 e PM10. Che relazione c’è tra COVID-19, polveri sottili ed il contagio? La parola ai ricercatori. Nelle zone di massimo contagio una concentrazione di polveri sottili avrebbe favorito la diffusione del virus Covid-19. Questo il risultato di uno studio condotto dai ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), in collaborazione con l’Università di Bologna e di Bari, sui dati pubblici delle Agenzie regionali per la protezione ambientali (Arpa) messi a confronto con i dati comunicati dalla Protezione civile relativi ai casi di contagio sugli stessi territori. A fungere da veicolo di trasmissione (carrier) sarebbe proprio il particolato atmosferico, pregno di sostanze inquinanti e di contaminanti biologici, come i virus. Il particolato in tali territori avrebbe quindi trasportato e diffuso i contaminanti, permettendo al virus di rimanere nell’aria più a lungo.
Pandemia 2020 e PM10: sforamenti e contagio
In particolare, dall’analisi effettuata emerge che tra gli sforamenti di concentrazioni di PM10 (oltre i limiti di legge) tra il 10 e il 29 febbraio ed il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo (considerando il tempo di incubazione del virus fino al giorno del test che ha sancito la positvità) esiste una relazione.
Pandemia 2020 e PM10: l’esplosione dei contagi in Pianura padana
Analizzando proprio le province dei primi focolai, come hanno riportato on line le maggiori testate italiane, lo studio evidenzia che a febbraio a fronte di determinate concentrazioni di polveri in Pianura padana si è assitito ad un’accelerazione della diffusione del Covid-19. La conferma arriverebbe anche dai ricercatori dell’Univesità di Bari che in un’intervista hanno sottolineato, in buona sostanza, la possibilità che siano le polveri a veicolare il virus rilevando una relaizone tra velocità di propagazione e concentrazione di inquinanti .
Virus, polveri sottili e contagio
La relazione tra virus, particolato e contagio risulterebbe consolidata anche da una serie di studi scientifici internazionali che hanno analizzato i dati di altri contagi. Se è già successo in passato per l’aviaria e per altri virus, oggi è possibile quindi trarre una serie di conseguenze che portano alla necessità dell’impiego di misure precauzionali diventate oramai imprescindibili ai fini di un contenimento del contagio. I ricercatori della Sima hanno redatto a tal proposito un position paper le cui conclusione riportiamo qui di seguito.
Le conclusioni della Sima
“Tali analisi sembrano quindi dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 Febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo. A questo proposito è emblematico il caso di Roma in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento. Oltre alle concentrazioni di particolato atmosferico, come fattore veicolante del virus, in alcune zone territoriali possono inoltre aver influito condizioni ambientali sfavorevoli al tasso di inattivazione virale. Il gruppo di lavoro sta approfondendo tali aspetti per contribuire ad una comprensione del fenomeno più approfondita.”
Norme di sicurezza ai tempi del Covid-19
La cattiva notizia è che non bastano le distanze di un metro se il problema è l’inquinamento dell’aria, esiste infatti la possibilità che il virus si mantenga per periodi lunghi nel particolato. Distanze massime tra le persone, areazioni dei locali dovrebbero essere comunque le misure minime di precauzione da mantenere in questo periodo. Affinchè la situazione abbia una netta svolta nelle aeree più colpite, a ciò si dovrebbero aggiungere vento, pioggia e una drastica diminuzione delle emissioni di inquinanti nell’aria. Ecco in questi giorni, con l’Italia ferma, la diminuzione delle emissioni sta avvenendo naturalmente grazie al rispetto dell’obbligo di non uscire di casa se non in caso di reale necessità. Ma quando questa crisi sanitaria sarà superata, cosa si deciderà di fare? Tutto come prima?
Il principio di precauzione è d’obbligo
Putroppo per garantire il diritto alla salute non basterà trovare nuovi vaccini. Perchè nessuno ci potrà garantire che nuovi salti di specie non avvengano. A facilitarli, pare, non sono solo le condizioni di inquinamento delle città ma anche la perdita degli habitat naturali. L’ auspicio è quindi quello che la comunità scientifica internazionale prenda al più presto una posizione unanime su quanto sta accadendo. Ci sentiamo vicini a tutti quei medici e sanitari che in questo terribile rischiano ogni giorno per salvare vite umane nelle corsie degli ospedali italiani ed internazionali. E ci auguriamo che il loro sacrificio non sia stato invano. Gli studi sulla relazione tra inquinamento dell’aria e contagio proseguiranno. Ci sarà chi li metterà in discussione o cercherà di minimizzarli. Ma vorremmo intanto sentire che fatta valere con forza, dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale, sia ora la sacralità di un principio. Quel principio di precauzione che sostanzia il diritto alla salute. Noi, nel nostro piccolo, ne siamo certi, cambiare si può e si deve.