Ibsen vs Solness, qualcuno salvi l’anima di un artista. Dal suo ego. Sabato scorso in scena al Morlacchi di Perugia Il costruttore Solness, di Henrik Ibsen.
Il costruttore Solness, un imperdibile Umberto Orsini, ha la coscienza sporca e vorrebbe lavarla immergendosi in un bagno di gioventù. Ma il tentativo è destinato a fallire. L’illusione di onnipotenza che il dominio sulle vite degli altri ha generato, verrà fatta svanire proprio dal tentativo di elevarsi ad una bellezza che non gli appartiene. L’attrazione verso “l’oggetto proibito” gli sarà fatale come lo sarà anche per Gustav Aschenbach in Morte a Venezia (pubblicato nel 1912). Infatti, sia per Henrik Ibsen che per Thomas Mann la lezione freudiana sulla inconscia lotta fra Thanatos ed Eros, fra pulsione di morte e pulsione di vita, fornirà sostanza letteraria e ossigeno ad una riflessione su materialismo e morale borghese. E sul ruolo di un artista di “fine secolo”. Il rapporto tra il protagonista e le donne è un altro degli aspetti che rendono di particolare modernità questo dramma che nella messa in scena di Alessandro Serra – produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria – accentua il suo carattere introspettivo.
Ibsen vs Solness, l’archetipo del self-made-man
La prima assoluta de Il costruttore Solness si tenne a Berlino nel 1893. Circa un anno dopo, dopo aver letto il dramma di Ibsen, il giovanissimo Thomas Mann scriveva la sua recensione sul dramma borghese cogliendo la tematica in tutta la sua complessità. Halvard Solness è l’archetipo del self-made-man. In lui è riconoscibile anche la figura di un anziano artista, al termine della sua carriera. Entrambi sono affetti da quel male sempre più contemporaneo chiamato narcisismo. La sua capacità imprenditoriale ha portato Solness a far fortuna nel campo dell’edilizia ma a lui mancano alcune preziose competenze professionali. Per questo egli si serve del lavoro degli altri, oltre il dovuto. L’equilibrio del suo potere è, infatti, tutto giocato sullo schiacciamento di altre intere esistenze alle sue personali esigenze, con conseguenze dolorose.
Tutte le vittime del narcisista Solness
A cominciare da sua moglie Aline (Renata Palminiello), che si aggira in casa come uno spettro dopo aver perso a causa dell’incendio – che diede inizio alla fortuna imprenditoriale del marito – non solo la sua casa d’infanzia, e residenza coniugale, ma anche i suoi due figli. A peggiorare lo stato di Aline c’è anche il dubbio, istillatole dallo stesso Solness solo per il gusto di torturarla, che il marito la tradisca con la sua dipendente Kaja. E Kaja (Chiara Degani), la sua ragioniera, in realtà non è la sua amante ma da lui dipende anche sul piano emotivo. Così come Ragnar, (Salvo Drago), il suo geometra. Che vorrebbe emanciparsi dal costruttore e far fruttare e il proprio talento, ma in questo si scontra con l’ostilità dello stesso Solness. Che ne teme la concorrenza e preferisce tenerlo stretto al suo servizio. Kaja, inoltre, fidanzata da cinque anni con Ragnar, posticipa ogni anno le nozze, nel timore di perdere la vicinanza di Solness. Tra l’agire dell’imprenditore e la sua coscienza si consuma una lotta straziante resa perfettamente plastica da un impianto scenico che materializza gli abissi psicologici causati da una ipertrofia egoica che non teme coscienza, rubando ogni spazio alla purezza dei sentimenti.
Hilde, l’attrazione diabolica
Fatale sarà per Solness l’incontro con Hilde (Lucia Lavia), una giovane che gli ricorda della promessa fattale 10 anni prima, durante il loro primo incontro. Costruire un “regno” tutto per lei. Che la giovane Hilde, ora 23enne, possa ricordarsi della promessa dell’anziano costruttore appare improbabile come la sua enfasi, che tradisce tuttavia la sua essenza sovrannaturale. Hilde impersona la tentazione diabolica che parla all’ego di Solness spronandolo a superare le sue stesse paure per elevarsene al di sopra e finalmente dimostrare al mondo la sua integrità. Una sfida plausibile per la mente travagliata dell’imprenditore che, liberandosi dal proprio calcolo meschino, è prima spinto a concedere libertà agognate ai suoi collaboratori e poi a sfidare le vertigini che gli impediscono di salire sulle sue stesse costruzioni. Ma dal gioco di seduzione non arriverà la sperata redenzione, al contrario, sarà esso stesso causa della fine del costruttore Solness.