Ingra, il gioco dell’intermedialità
Suggestiva e raffinata pièce coreutica della compagnia spagnola Kor’sia vincitrice del Fedora prize 2023
C’è una partita in corso ma nessuno sta veramente vincendo forse perché il senso del gioco si svincola dalla posta in palio o perché gli equilibri, che parevano granitici, sono sempre più labili e sensibili alla potenza sottile della danza. Igra (gioco in russo), densa e ipnotica pièce coreutica della compagnia spagnola Kor’sia già vincitrice del Fedora prize 2023, arriva in ben due repliche al Morlacchi di Perugia (9 e 10 marzo), dopo un tour internazionale e nel bel mezzo di quello italiano, incantando il pubblico grazie alla sua sapiente valorizzazione del linguaggio visivo, alla vertiginosa scioltezza dei danzatori (Edoardo Brovardi, Benoît Couchot, Angela Demattè, Antonio de Rosa, Helena Olmedo Duynslaeger, Giulia Russo e Alberto Terribile) e ad un attento lavoro di ricerca di cui i due giovani coreografi italiani della compagnia, Mattia Russo e Antonio De Rosa, hanno sicuramente fruito partendo da un loro precedente lavoro (Jeux/Nijinsky) che esplorava il processo creativo di Vaclav Nižinskiin Jeux, creazione realizzata per i Balletti russi di Sergej Djagilev e rappresentata al Théâtre des Champs-Élysées il 15 maggio 1913.
In effetti, Igra, incastonandoli in una fitta trama di elementi coreografici e drammaturgici, porta sul palco diversi omaggi sia al lavoro del ballerino e coreografo russo, di origine polacca, che a quello di sua sorella Bronislava Nižinskaja (Les Noces, rappresentato il 13 giugno 1923 al Théatre de la Gaîté) nell’ambito di un’operazione più ampia che mette in contatto linguaggi visivi del contemporaneo presente con il panorama contemporaneo delle origini, nel primo Novecento.
Passato e presente dell’arte si incontrano attraverso riferimenti, metafore, simboli (come le statue antiche sul campo da tennis che ricordano la metafisica di De Chirico) e citazioni generando un senso nuovo, figlio di quel concetto di intermedialità, pietra miliare della visione contemporanea dell’arte, partito dalla Gesamtkunstwerk di wagneriana memoria ed esploso negli ultimi decenni in un dibattito teorico che ha portato diversi contributi alla sua ridefinizione. Tra questi, molto interessante e calzante ai fini intrepretativi di Igra ci pare la proposta di Irina Rajewsky (2002) che definisce i concetti di combinazione, trasposizione mediale e riferimento intermediale. Di fondamentale importanza l’ambiente musicale (Da Rocha), che spazia dalla musica elettronica al canto, sempre in grado di offrire corpo all’intermedialità collegando e contrapponendo mondi e visioni.
Un universo ordinato si sta sfaldando sotto i nostri occhi. I suoi schemi confortanti, i suoi codici, le iconografie, le sue rassicuranti simmetricità sono insediate. Alla durezza della battuta sul campo da tennis, alla schematicità dei gesti, alla tollerata bestialità dei gemiti da gioco, che ne esaltano la sua natura bellica, piano piano si contrappone un elemento sottilissimo ed imprendibile. Lento e inesorabile si insinua nello schema di gioco portando con sé la calda e vasta morbidezza del gesto che ritrasformerà il campo da tennis in un regno selvaggio dominato da una calma sensualità, unico concetto ordinante del caos.
“Con Kor’sia abbiamo già intrapreso la strada della rivisitazione dei classici attraverso varie creazioni, quali Somiglianza, che ha rivisitato L’après-midi d’un faune, o Giselle, con la particolarità di prendere pezzi del passato, di collegarli e ricollocarli. Attualmente, stiamo cercando di proporre un immaginario possibile che si concentra perfettamente su un’idea del filosofo Paul Valery che ci piace ripetere a noi stessi costantemente: Non esistono poesie finite, esistono solo poesie abbandonate“.
Mattia Russo e Antonio De Rosa